Pianta oleacera nota e gradita. Vuole esposizione di mezzodì. È spontanea nei terreni sabbiosi d'Europa. Tre varietà principali — il bianco precoce e molto produttivo, verde all'estremità, che è quello d'Olanda e del Belgio — il violetto , più grosso di colore violetto o rossiccio all'estremità, che è quello di Ulma, Polonia-Darmstadt — e il verde meno grosso del precedente, ma più saporito, verde e tenero in tutta la sua lunghezza che è quello di Piemonte (celebri quelli di Cilavegna). L'asparago di Praga è il medesimo. Si moltiplica per mezzo delle radici, dette occhi, ma egualmente e forse meglio si anno asparagiaje colla semina. Durano le radici dai 20 ai 30 anni e più. Se ne mangiano i talli in primavera. Gli asparagi costituiscono una verdura saporitissima, di facile digestione, gradevole, ma poco nutritiva. Servono a moltissimi usi in cucina. Si fanno cocere senz'acqua in tegame di terra o tortiera, chiusi a foco lento ove cocendo col proprio vapore, sono più saporiti, devono essere poco cotti altrimenti perdono del loro sapore. Si condiscono con burro od olio. Si mangiano in insalata con olio, pepe e limone. Si friggono col pesce infarinati, s'accompagnano alle ova, al riso, agli stufati, nei ragouts e nei potaggi(1). Per spedizione o conservazione, incartarli uno ad uno, durano persino 15 giorni. La parte bianca del tallo non mangiabile può servire a fabbricare carta grossolana. Anche presso gli antichi l'asparago fu sempre tenuto in grande onore. Ne parlano tutti gli scrittori da Galeno a Catone, da Columella a Plinio. In Italia erano rinomatissimi quelli di Ravenna, onde Marziale :
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sapore. Si condiscono con burro od olio. Si mangiano in insalata con olio, pepe e limone. Si friggono col pesce infarinati, s'accompagnano alle ova, al
Riferisce Ateneo, filosofo peripatetico, che nel paese dei Getuli in Africa, gli asparagi erano grossi come le canne e lunghi dodici piedi. E Plutarco, che nella Caria, provincia dell'Asia Minore, il popolo li adorava. I Fenici se ne ungevano il corpo col loro sugo onde non essere punti dalle api. Pare che anche il cuoco di Giulio Cesare glieli apprestasse non molto stracotti, perch'egli ad esprimere la velocità d'alcun che soleva dire: citius quam asparagi coquantur. Mille sono le virtù ed i vizi che i medici assegnano agli asparagi. Sono diuretici in sommo grado, giovano nell'idrope, nelle affezioni cardiache, sono calmanti nell'orgasmo nervoso, nei dolori dei tisici, nell'insonnia, giovano contro il catarro polmonare, nella paralisi della vescica e perfino a detta del medico ateniese Chairetes contro l'idrofobia. All'incontro non sono convenienti agli isterici, agli ipocondriaci, ma sopratutto a quelli che patiscono la gotta. Albert suggerisce che mettendo la sera nel pot de chambre un paio di goccie d'aceto, colui che il giorno prima s'è fatto una scorpacciata d'asparagi si desta al mattino in un'atmosfera embaumè di violette. Altri invece assevera, che tale effetto si ottenga con un po' di essenza di trementina invece dell'aceto.
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prima s'è fatto una scorpacciata d'asparagi si desta al mattino in un'atmosfera embaumè di violette. Altri invece assevera, che tale effetto si ottenga
Il celebre Fontanelle, segretario perpetuo dell'accademia, che morì di cento anni, andava matto per gli asparagi. Un dì invitò l'abate Terrasson a pranzo e siccome l'abate amava gli asparagi al burro e lui all'olio - fu convenuto che metà si dovessero cucinare al burro e l'altra metà all'olio. Ma giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco « Tutti all'olio, tutti all'olio !
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giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco « Tutti all
Plinio suggerisce di condirla colla senape. La parola Beta fù sempre adoperata per indicare cosa fatua. Diogene chiamava Betæ gli uomini molli ed effeminati, e lo stesso S. Agostino, per dire rendere effeminato adopera il verbo betizare e da Beta venne pure nel nostro dialetto il vocabolo zabeta e più tardi zabetta per indicare una pettegola senza sale. Si dice pure da noi: Fat come una biedrava.
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effeminati, e lo stesso S. Agostino, per dire rendere effeminato adopera il verbo betizare e da Beta venne pure nel nostro dialetto il vocabolo zabeta e
Il Cardone da Cardo punta, pianta provvista di aculei è un caule biennale indigeno nostro e della Francia meridionale. Nel linguaggio dei fiori — Austerità — dieci varietà. Fa una pannocchia spinosa, non mangiabile, le cui punte rigide alquanto ricurvate servivano a cardare e garzare le saie e i panni onde la parola scardassare. Ama terreno sciolto, grasso, profondo, si semina in marzo aprile e maggio in luna vecchia, assai raro, si sarchia, s'irriga se c'è l'asciutta. Si taglia in novembre e si riseppellisce nel terreno, perchè diventi bianco e tenero e si salvi dal gelo. Del cardo si cibano le coste delle foglie, in inverno. È delicatissimo cotto al burro con cacio parmigiano, se tenero anche crudo con olio sale e pepe od in insalata. Dà alimento leggero e poco nutriente. Avvene parecchie varietà, le più pregiate sono quelle del cardo bianco, o cardo di Milano e quella di Spagna senza spine. Anticamente era un prodotto della sola Sicilia. Oribasio nel lib. 3 al Capo: Della Bontà et malitia dei cibi, dice che chi cerca viver lungamente sano deve fuggire l'uso dei cardi. Alcuni frati adoperavano i fusti colle foglie dei cardi per flagellarsi.
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panni onde la parola scardassare. Ama terreno sciolto, grasso, profondo, si semina in marzo aprile e maggio in luna vecchia, assai raro, si sarchia, s
Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s'avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in quantità, fanno doler la testa, mettono sete, li fanno diventar rossi come i peperoni, promovono loro la saliva e più di tutto fanno perdere il nominepatris: rationum ledunt. Galeno le proibiva ai letterati. Di tutto questo però, la scienza moderna che è scettica, crede un bel nulla. Si limita a dire che la cipolla è un efficace diuretico e che applicata fresca alla cute è un energico rubefaciente. Gli ortolani di Napoli adoperano un'infusione di cipolle a cacciare il bruco dai cavoli. La sapienza popolare ad indicare coloro che come disse il Manzoni sono semplici come i serpenti, dice:
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Tale il precetto salernitano, sentito il parere di Dioscoride, Galeno e Tralliano. Ma s'avvertano i divoratori di cipolle che mangiandone in quantità
L'Endivia è sorella germana della cicoria; con lei divide la patria e la maniera di essere coltivata. È caratterizzata dalle foglie più o meno frastagliate e ricciute e dalla loro radice grossa e breve in confronto della cicoria. Nel linguaggio dei fiori: Non sono sola. S'imbianca, quando è giunta ad una certa altezza, legando le foglie intorno al gambo. Si conserva anche d' inverno ricoprendola con stuoje, ecc. Si mangia cruda in insalata ed anche cotta a modo degli spinacci, ecc.
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frastagliate e ricciute e dalla loro radice grossa e breve in confronto della cicoria. Nel linguaggio dei fiori: Non sono sola. S'imbianca, quando è giunta
Erba amara. — (Balsamita Suaveolens). Mil. Erba amara, erba S. Peder, S. Maria, della Madonna. - Fr. Tanaisie. - Ted. Balsamfarren. - Inglese Costwary.
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Erba amara. — (Balsamita Suaveolens). Mil. Erba amara, erba S. Peder, S. Maria, della Madonna. - Fr. Tanaisie. - Ted. Balsamfarren. - Inglese
Phaseolus dal greco Phaselos, navicella alla cui forma s'avvicina il fagiolo. Pianticella annuale fecondissima e originaria dalle Indie Orientali, che dà il legume indigeno del fagiolo. Prospera nei terreni freschi e sostanziosi, ma viene quasi dovunque. Teme il freddo e perciò si semina tardi in Aprile, e, nei terreni forti, anche in Maggio. Sono tre le varietà principali: l'arrampicante, il nano, ed il fagiolo dell'occhio. La varietà di Spagna (Phaseolus multiflorus) arrampicante, a grossissimi frutti violetti o bianchi saporitissimi, si può seminare da metà Luglio a metà Agosto, produce fino ai primi geli. Fra i nani, avvi il primaticcio (Phaseolus nanus), eccellente. Pregiato e saporito è anche il tondo (Phaseolus sphaericus), detto da noi borlott. La prima brina uccide il fagiolo. Dei fagioli si mangiano i semi freschi e secchi, e l'involucro loro quando sono immaturi che sono i cornetti. Questo legume nutriente fornisce grande tributo alla cucina, ma è più o meno flattulento a seconda della qualità, quantità e degli stomachi. Vuol essere ben cotto, e cocetelo in acqua piovana o mettetevi della cenere. I migliori sono i verdi e teneri. Colla farina del fagiolo, si tentò farne del pane, mescolandola a quella di frumento , ma riesce pesante, compatto, indigesto. Cotto il fagiolo, passato allo staccio e liberato dalla buccia è digeribile assai, perchè è la buccia la parte indigesta. Il fagiolo accompagna il riso, e fa l'allegria del minestrone, è d'ornamento gratissimo alle salsiccie, ai piatti d'umido, se ne fa eccellenti flan, punto indigesti. L'insalata di fagioli è per gli stomachi robustissimi. I cornetti si mangiano cotti con burro, panna, e insalata. Si mettono in aceto come i citrioli.
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Phaseolus dal greco Phaselos, navicella alla cui forma s'avvicina il fagiolo. Pianticella annuale fecondissima e originaria dalle Indie Orientali
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota, la più insipida delle insalate, se se ne eccettui il lattughin detta anche insalatina, da noi, forse perchè essendo assai tenera e primaticcia si mangia volentieri. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola. S'imbianca come l' endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come un succedaneo dell'oppio ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fù dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne sepellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria, Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'iterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita.
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preserva dai freddi coprendola. S'imbianca come l' endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre
Pelusio era città dell'alto Egitto fondata da Peleo, padre del grande Achille. E a questo proposito S. Gerolamo nel lib. 9° in Ezechia, dice che si chiamava lente Pelusiaca perchè Pelusio era come il grande mercato della Tebaide e dell'Egitto, da dove pel Nilo discendevano le lenti fino ad Alessandria. Era proverbio: Ante lentem augere ollam - cioè preparare un'olla più grande che la quantità delle lenti, donde ne venne il nostro: pussee grand l'œucc ch'el bœucc. E l'altro che si legge in Aristofane: Dives factus, jam desiit gaudere lente - il che equivale al nostro parvenu che si scorda di essere stato quello che era. Borc pretende che gli antichi prima di cocerle lasciassero loro subire un principio di germinazione, onde svilupparne meglio il principio zuccherino come si fà oggi coll'orzo tallito. La lente ebbe dei detrattori. Ippocrate e Galeno ne dissero assai male, nient'altro che è autrice delle più grandi malattie e tra le altre del cancro, del sciro, della lebbra e della cataratta. Precisamente come dopo tanto tempo Martin Lauzer assicura che la lente guarisce da 26 malattie, tra le quali la gotta, la cefalogia, l'afrodismo ed il vaiuolo. Al principio del 600 in Lombardia, teste Francesco Gallina medico torinese, correva il proverbio: Chi mangia lenticchie caga una secchia. Stile del 600. E però la lente è un legume saporito, nutriente e che si digerisce meglio passata allo staccio e spoglia di buccia. Roques dopo aver date molte ricette a cucinar le lenti, finisce eoll'assicurare il prossimo che egli preferisce « une purèe de lèntilles, on repose mollement un morceau de pètit lard salè et tendre ». Ma alla lente era preparata una gloria assai maggiore di quella di servire di soffà ad un anitra o ad una salsiccia. L'inglese Warton inventò la famosa Ervalenta (dal suo nome ervum lens) e la fè passare come un prodotto di pianta forastiera ed il pubblico credenzone correva a pagare 10 lire al chilogrammo la farina di lenti che valeva 20 centesimi. Poi dai Du-Barry disputatisi coi Warton nel 1854 il privilegio di gabbare il mondo, ne venne la Revalenta o Revalescère, la famosa Revalenta arabica, che guarisce da tutti i mali. Sottoposta dal Consiglio di Sanità di Londra e dall'illustre Payen di Parigi a conscenziosa analisi risultò composta per la massima parte di farina di lenti scorticate, coll'aggiunta in varie proporzioni di quella di piselli, di melica, sorgo, avena, orzo e una centesima parte di sale di cucina. Pure il Du-Barry continua l'allegro commercio colle più belle trovate di ciarlataneria.
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Pelusio era città dell'alto Egitto fondata da Peleo, padre del grande Achille. E a questo proposito S. Gerolamo nel lib. 9° in Ezechia, dice che si
Per analogia di nome ne viene alla penna il Lupino, il quale è uno dei più scadenti legumi che si abbiano. (Lupinus albus, Lupinas vulgaris). Fr. Lupin. - Ted. Wolsbohe, - Ingl. Lupine. Se ne contano 63 varietà. Serve meglio a concimare il terreno e ciò si usava fino ai tempi di Catone. I semi sono amari, ma lungamente macerati lasciano l'amarezza, sono farinosi ed insipidi. Nella Roma antica si vendeva sulle piazze, come da noi i fagioli e serviva di cibo agli schiavi ed ai poveri. Il Sangiorgio attesta che fino alla metà del secolo scorso si vendeva anche in Milano. Il lupino come sostanza alimentare è oramai quasi dimenticato. Le pie cronache narrano che il lupino era l'esclusivo cibo penitenziale di quaresima di S. Carlo Borromeo. Dà farina per toilette. Tanto il luppolo come il lupino possono somministrare materia alla fabbricazione della carta.
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alimentare è oramai quasi dimenticato. Le pie cronache narrano che il lupino era l'esclusivo cibo penitenziale di quaresima di S. Carlo Borromeo. Dà
Gli antichi la mettevano nel latte a impedirne la coagulazione, giova nel vomito e nel singhiozzo è contro l'itterizia. Si mescolano le foglie colla lattuga e le altre insalate. Ne fanno: l'acqua di menta peperita, l'alcoolato di menta, l'olio essenziale di menta, le pastiglie, i diavolotti, dei quali i più pregiati ed energici sono gli inglesi. A conservarne le foglie si colgono prima della fioritura. Ecco l'origine della menta. Proserpina aveva una damigella d'onore che si chiamava Menta, ed era figlia di Cocito. Un dopo pranzo, la colse a fare gli occhietti a Plutone suo legittimo consorte e presa da giusto risentimento la tramutò in questa pianticella che à conservato il suo nome. D'allora in poi s'ebbe la menta.
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e presa da giusto risentimento la tramutò in questa pianticella che à conservato il suo nome. D'allora in poi s'ebbe la menta.
L'Orzo dopo il frumento ed il riso è il cereale che serve più d'ogni altro all'alimentazione dell'uomo. Si crede originario della Palestina e della Siria - si afferma però che fu trovato indigeno in Sicilia. Il suo nome da horreo, per le reste ruvide al tatto. Viene in quasi tutti i terreni, ama però meglio quello sciolto. Sopporta il freddo più della segale, nella Svizzera si coltiva a m. 1900 sul livello del mare. Seminasi in primavera ed autunno. Ve ne sono diverse varietà; se ne coltivano due specie: il volgare e lo scandella, questo per pascolo al bestiame. Del volgare migliore quello di Germania e della Siberia. Colla farina del grano d'orzo se ne fà pane, la si mescola con quella del frumento. Coll'orzo se ne fanno eccellenti, saporite e sanissime minestre. L'orzo mondo, di scelta qualità, precedentemente con meccanico sfregamento arrotondato, chiamasi perlato, e viene preferito a farne pappine alimentari e cataplasmi. Un principio di germinazione altera i principi costitutivi dell'orzo, sì che, mentre aumenta la proporzione dell'amido e zuccaro, diminuisce quello del glutine e dell'ordeina. In questo stato chiamasi orzo tallito, o germinato, che è preferito negli ospedali come base al decotto pettorale. L'orzo è il principale ingrediente e la base della birra. Gli antichi lo chiamano frumento nobilissimo. Gli Etiopi e gli Indi non conobbero altro pane che quello di miglio e di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominiæ causa. Marcello diede alle sue legioni dell'orzo invece del frumento, perchè si erano lasciate battere da Annibale. Aristotele scrive che i fornai e coloro che facevano il pane d'orzo diventavano imbecilli. Nella Sacra Scrittura l'orzo è pure ritenuto come cibo ignominioso e da poco. L'orzo, il miglio e la veccia sono pressochè sempre messi insieme (Isaia). Ezechiele parlando dei falsi profeti dice: Et violabant me (cioè Iddio) ad populum meum propter pugillum hordei etfragmen panis. (Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo, vedi In Isaiam. Lo stesso S. Gerolamo asserisce aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un libro tutto dedicato al decotto: De Phtisana hordacea.
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hordei etfragmen panis. (Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo, vedi In Isaiam. Lo stesso S. Gerolamo asserisce aver visto in Siria un'eremita che
La patata, o pomo di terra, o solano (dal latino solanum, sollievo), nel linguaggio dei fiori: beneficenza. È una radice tuberosa originaria dall'America e precisamente dal Chili e dal Perù, dove si trova ancora allo stato selvaggio. Fu importata colla Dalia, e, curioso! questa per il tubero, la patata per il fiore. Propriamente il nome di patata appartiene ad altra pianta, la vera patata ipomea o convolvulus patata, che viene solo nei climi caldi. Vuole terreno pingue, vegeta in tutti i climi, nelle più basse pianure come a 4000 metri sopra il mare (nell'America e nella Svizzera), sotto l'Equatore (Quinto) come nella Siberia. Da noi si raccolgono i tuberi dall'Agosto al Settembre, à fiori bianchi e violetti. Si propaga per seme o meglio si piantano i così detti occhi che sono le parti della patata accennanti al germoglio, cessato il gelo da metà Marzo in avanti. Si conservano per tutto inverno, ma al caldo fioriscono, all'umido marciscono, al freddo gelano, e temono la luce. Fu portata in Europa dagli Spagnuoli. Pedro Cicca fu il primo a parlarne nel 1553, e nel medesimo anno Fiorentino Fiaschi ne scriveva da Venenzuola a suo fratello. Il Cardano ne fà menzione nel 1557. Nel 1565 fu portata in Irlanda da Hawkins e poi introdotta in Francia. Prima che Releigh e Drake dalla Virginia la trasportassero in Inghilterra, era coltivata in Toscana, ne fà fede il frate Magazzini, e il Redi che nel 1667 ne mangiava in Firenze alla corte di Cosimo II. Le patate in Italia dapprincipio si chiamavano tartuffoli. Nella Germania s'introdusse nel 1710 e dovunque nel 1772 era coltivato negli orti botanici e nei giardini come pianta di lusso. Ma la sua diffusione, come tubero alimentare fu lenta e contrastata. I codini d'allora, la avversarono come pianta sospetta, venefica. Ai codini si unirono i medici più celebri, che la incolparono della degradazione fisica e morale delle popolazioni, e fomite di tutte le malattie. Ai codini ed ai medici fecero coro i frati ed i parroci che dai pulpiti la chiamarono radice del diavolo. Figuratevi il popolo! Anche oggi la coltura della patata è interdetta in Corea. Non fu che sulla fine del secolo passato che potè trionfare.
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si chiamavano tartuffoli. Nella Germania s'introdusse nel 1710 e dovunque nel 1772 era coltivato negli orti botanici e nei giardini come pianta di
Pianticella annua conosciutissima, originaria dall'America Meridionale e venuta tardi in Italia. La sua propagazione in Europa non conta più di due secoli. Cento anni fa era appena conosciuta da noi. Vuol terreno lavorato, piuttosto asciutto, non tanto pingue e molto soleggiato. Si semina in Febbraio su letto caldo e si trapiantano le pianticelle sviluppate quando non s' abbia più a temere il freddo e la brina. La troppa vegetazione è a scapito del frutto. Avvene molte varietà. Il rosso nano precoce, abbondantissimo di frutti grossi, succosi, saporiti, di lunga conservazione dopo colti. Il mostruoso conqueror, dà frutti enormi da un chilogrammo. À fusto arboreo, così detto perchè si mantiene dritto e robusto a mo' di un alberetto senza sostegno e produce frutti grossi di un rosso assai intenso e si possono conservare più di qualunque altra varietà a frutti grossi. Il piccolo, a forma di pera, che à frutti a grappoli, sono i migliori per mettere in aceto e si conservano sospesi all'asciutto anche nel verno. Il rosso liscio, o senza coste, rimarchevole per la sua bellezza e grossezza. Il pomodoro è un frutto bello ed allegro. Ànno ragione i francesi di chiamarlo Pomme d'amour. Ancor verde, a metà maturanza , se ne fa frittura aciduletta, si mangia in insalata, si mette nell'aceto per l'inverno. Maturo, rosso, se ne fa salsa gustosissima che oramai serve in cucina per pressochè tutti gli intingoli ed anche per confettura. Il pomodoro è meglio condimento che cibo, non dà alcun nutrimento. È salubre, benchè contenendo molto acido ossalico, il suo uso troppo generoso e smodato può disporre all'ossularia, produce vertigini, ronzío, gastralgie ed altri disturbi nervosi. Dalle foglie del pomodoro se ne cava una tintura ocracea.
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Febbraio su letto caldo e si trapiantano le pianticelle sviluppate quando non s' abbia più a temere il freddo e la brina. La troppa vegetazione è a scapito
Il suo nome dal greco Selidon, o, secondo altri, da Petrosselene, pietra di luna, avendo i semi la forma d'una luna nascente. Vuolsi originario della Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo al terreno, amando però meglio quello leggero, ricco ed umido. Si semina a primavera e se ne à tutto l'anno. Avvi la varietà riccia, o prezzemolo crespo, le cui foglie sono frastagliate; la varietà grossa, o prezzemolo sedanino di Napoli, le cui radici voluminose sono buone a mangiarsi fritte ed accomodate. L'antico petroselinon è quello detto di Macedonia che alligna fra le pietre e fra le roccie (da cui il nome, quasi apium petrinum), à foglie più ampie ed è più dolce. La semente invece è più aromatica e d'un sapore che si avvicina a quello del cumino. Questo ama i terreni sabbiosi e teme il freddo. Avvi quello di palude e quello di montagna selvatico. Il prezzemolo comune somiglia molto alla cicuta che nasce spontanea negli orti, si riconosce però all'odore, perchè quest'ultima puzza tagliandola, e tramanda un odore disgustoso di sorcio. Tutta la pianta del prezzemolo à odore e sapore aromatico, rende i cibi più sani e più aggradevoli, eccita l'appetito e favorisce la digestione. Entra gradito ospite nelle minestre, nelle zuppe, pietanze, guazzetti e salse. Ercole, dopo aver ucciso il Leone Nemeo, si cinse la tempia con una corona di prezzemolo, da qui la consuetudine d'incoronare i vincitori nei giuochi nemei. I poeti pure s'incoronarono di prezzemolo, onde Virgilio: « Floribus atque apio crine ornatus amaro. » Plinio dice che non solo il prezzemolo è un cordiale per gli uomini, ma lo è anche per i pesci: « Pisces quoque, si ægrotant in piscinis, apio viridi recreantur » il che vuol dire: se ti si ammalassero i pesci nella piscina, mettivi delle erborine verdi che guariranno. Le lepri ed i conigli ne sono avidissimi, anzi il darlo loro fa bene e li fa guarire. Le galline e i papagalli ne soffrono ed anche muoiono. Ma se il prezzemolo è un aroma sano, non se deve abusare, perchè è eccitante, la sua radice è più stimolante delle foglie. Del resto i medici gli assegnano virtù diuretica, dà rimedio nelle malattie d'occhi, è febbrifugo e risolvente, vulnerario e narcotico nelle contusioni, nelle echimosi, negli ingorghi lattei. Le famose pillole galattifughe arcana preparazione della farmacia di Brera, constano principalmente di estratto di prezzemolo. Il seme del prezzemolo triturato in polvere serve di cipria per distruggere i pidocchi. Se si prende una certa quantità di prezzemolo e lo si pone nell'aqua per 48 ore e poi se ne spruzzi il suolo e le lettiere si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie che troviamo nello stracchino di Gorgonzola, le quali sono ne più nè meno che muffa. In un'antica Cronica milanese troviamo che « Menina Briancea fu l'inventrice della salsa verde che fassi ottima a Milano nel Monistero Maggiore da quelle sante mani di Donna Anastasia Cotta. »
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'incoronare i vincitori nei giuochi nemei. I poeti pure s'incoronarono di prezzemolo, onde Virgilio: « Floribus atque apio crine ornatus amaro. » Plinio dice
Pianta erbacea, perenna, indigena, dà grandi foglie che servono d'ornamento ai giardini e fiori piccoli bianchi in primavera. Cresce naturalmente nei luoghi umidi, ma si coltiva negli orti. Vuol terra sostanziosa, compatta, fresca, ombrosa. Si propaga per le sue radici. È chiamato anche Barbaforte, dai Francesi Moutarde des capucins, senape dei Tedeschi e Rafano di Cavallo dagli Inglesi. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani. Gratucciata minutamente ed immersa nell'aceto è ottimo condimento per l'alesso, da sola può servire come la senape a condire certi manicaretti e a conciar l'insalata. I frati molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra e una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i Greci lo chiamavano Pontici armon e gli Spartani Leucen. Era celebre il cren d'Arcadia. Il rafano selvatico è eminentemente anti scorbutico, diuretico, anti reumatico. Applicato esternameate è succedaneo ai viscicanti. Raschiato supplisce la senape nei pediluvi e nei senapismi. Dissecato non perde la sua virtù. Non ultima qualità del rafano è questa che raccomandasi specialmente alle signore e alle signorine: infusa la sua radice nel latte fa sparire le macchie dal volto.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
e a conciar l'insalata. I frati molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S
Pianticella annuale gramignacea, acquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per esser buono, dev' essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d'altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fà pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro pascolo quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si cuoce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fà cuocere sino all'intero disfacimento, solo dai noi si mangia, come si dice al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina Milanese à dato al mondo col riso quel capolavoro, che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia, invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia, «maxima est copia, (oryza) ubi ex ea phtisana fiebat,quam reliqui mortales ex hordeo conficiebant». Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il Bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventar bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Il riso è la ricchezza dei nostri fittajoli: Fittavol de ris, fittavol de paradis, dice un proverbio.
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saporito. Col riso si fà pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni
Ed Orazio 3 De Art. Am. « Rosmaris et laurus nigramque myrtus olent. » Oggi s'incoronano col rosmarino, capponi, uccelletti e polpettine. Serve secco e bruciato a disinfettare le stanze degli ammalati.
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Ed Orazio 3 De Art. Am. « Rosmaris et laurus nigramque myrtus olent. » Oggi s'incoronano col rosmarino, capponi, uccelletti e polpettine. Serve secco
Salvia è dal latino salvare per le grandi virtù che possiede. È pianta erbacea perenne, originaria dell'Armenia, si moltiplica per getti, per divisione di radici ed anche per semi. Brama terra sostanziosa ma piuttosto leggera, vuol essere di preferenza addossata al muro, ama il sole, porta fiori dal Giugno al Luglio. Nel linguaggio dei fiori: Ambizione, stima. Ve ne sono più di 80 varietà, gran parte delle quali si distinguono, per loro grato odore e per l'eleganza. L'Officinalis che è quella comunemente conosciuta si coltiva negli orti per la cucina e la medicina. La parte usata sono le foglie e le cime fiorite, à forte odore aromatico, sapore caldo amaro piccante. La salvia cruda mescolata con cipolla in insalata eccita l'appetito, massime posta sopra le alici. Se ne veste ogni arrosto in special modo gli uccelletti e i pesci, ai quali dà bonissimo odore e sapore. Pesta e stemperata con aceto, mista con zucchero ed aglio fà una salsa non isgradevole. Le minestre di legumi (e più quella di ceci) prendono sapore dalla salvia. Involta nelle frittelle massime se di farina di castagne, dicono sia ghiotta. Cotta con aceto olio, zafferano e poco zuccaro fà un'ottimo marinato per il pesce. Friggcsi la salvia con olio, burro, strutto, se ne regalano tutti i fritti. La salvia sta bene per tutto, fuori che nei lessi a' quali non s'addice per la sua amarezza. Attiva le funzioni digerenti e circolatorie, aumenta il calore animale, modifica l'influenza nervosa. La farmacia ne estrae un'olio essenziale, e ne fa un'infusione della quale la medicina si serve ad eccitare i sudori e a rianimare le forze vitali, perchè la salvia è tenuta come un buon stimolante. Il decotto di salvia è giudicato volgarmente come un febbrifugo e in primavera come un depurativo del sangue. Gli antichi ne facevano molto caso. Tutti l'ànno lodata. Da Agrippa veniva chiamata herba nobilis, herba sacra. Era tanto comune il suo uso presso i latini che inventarono perfino il verbo salviare, dare una porzione di salvia, condire colla salvia. E la Salernitana si meraviglia come possa morire un'uomo che abbia nel suo orto la salvia: - Cur moriatur homo cui salvia crescit in horto? - I medici francesi la battezzarono Teriaca naturale. La salvia veniva creduta donare l'immortalità e serviva per imbalsamare i corpi e si portava addosso e si mangiava nelle battaglie. Servio ci tramanda che il cuoco di Mecenate, faceva arrostire gli uccelletti colla salvia. La salvia è un cibo graditissimo alle api che dai di lei fiori cavano un miele saporito. Le sue foglie servono a pulire i denti. Frate Anselmo da Busto suggeriva ai predicatori e agli avvocati, di tenere una foglia verde di salvia sotto la lingua, che la rende più agile e sciolta. Guardatevi dal suggerire tale segreto alla vostra domestica. Coi fiori della salvia si prepara una conserva deliziosa. Le foglie secche si fumano come tabacco, quale rimedio antispasmodico contro la cefalalgia nervosa e l'asma. I Chinesi ne sono ghiottissimi e si stupiscono come gli Europei vadino a cercare il the nei loro paesi, mentre possedono una pianta così eccellente e che trovano preferibile al medesimo. E gli Olandesi facevano incetta in Europa della salvia per venderla carissima ai Chinesi e Giapponesi. La specie sclarea si adopera per dare il sapore moscato agresto ai gelati e ad alcuni vini.
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pesce. Friggcsi la salvia con olio, burro, strutto, se ne regalano tutti i fritti. La salvia sta bene per tutto, fuori che nei lessi a' quali non s
Il sedano o selino è pianticella erbacea, biennale, indigena à radice tuberosa, di sapor forte, piccante, odore aromatico, nasce naturalmente nelle paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffìamcnti. S'imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Diverse varietà, le migliori il bianco e violetto a costa ripiena, il sedano rapa (apium radice rapacea) à la radice che si gonfia e raggiunge ragguardevoli proporzioni. Il sedano è della famiglia del prezzemolo e serve tanto la foglia che la radice, a condire convesso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc. entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa, (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fà un delicatissimo purè. A Napoli lo si chiama accio (da Appio). Il sedano e massime il seme è eccitante e per alcuni indigesto. In Oriente è usato il seme contro il mal di mare. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania: in nares cerebro bile infestato. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci ricorda era proverbio, — abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei conviti onde preservarsi dall'ebbrezza. Oggi il sedano nei conviti si mangia per antipasto. Colla polvere del seme di sedano, meglio del selvatico, se ne fà un unguento contro i pidocchi.
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paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffìamcnti. S'imbianchisce rivestendolo e
Il sesamo detto anche giuggiolena è pianticella annuale. Si propaga per semi, vuol terra sciolta e pingue e viene sotto l'azione del gran caldo e dell'umido. Ve ne sono 5 varietà. L'orientale, cresce spontaneamente nei terreni secchi ed aridi dell'India, del Ceylan, del Malabar, e s'accomoda facilmente nei suoli fertili. Fornisce un fusto alto un metro, diritto, erbaceo, quasi cilindrico, assai ramoso, foglie verdi, fiori bianchi o color rosa in Giugno. I semi di esso col calore e colla pressione forniscono il 48% di olio che è così limpido e gustoso da rivaleggiare colle migliori qualità dell'olivo, per le quali viene sovente venduto, essendo 1'olio di sesamo riconoscibile solo per contenere meno sostanza. Inoltre l'olio di sesamo à il merito di non mai irrancidire. Il vantaggio dell'olivo su questa pianta è quello di poter allignare anche in luoghi erti ed asciutti ed in terreni poco profondi. Il sesamo non reggerebbe nei paesi montuosi anche per i venti. Vuolsi originario dell'Asia Minore e precisamente dalla Paflagonia, dove esisteva pure la città di Sesamon chiamata poi Amastris, della quale parla Plinio. In Bologna se ne sono fatte molte esperienze notate nel Giornale d'Italia di scienze naturali. Coi suoi semi in Egitto se ne fà una minestra saporita. In Sicilia lo si metteva nel pane. Oggi ancora si mangiano arrostiti e cotti come quelli del riso e dell'orzo, e macinati forniscono una farina grossolana, ma di cui i pasticcieri si servono assai. Era conosciuto il sesamo in Oriente sino dai tempi più remoti. Da Plinio fu messo il sesamo fra i cereali, da Columella fra i legumi, da Teofrasto fra i grani che non ànno nome. Ateneo nel libro XVI dice che i Greci lo mangiavano torrefatto col miele. Galeno che lo si metteva nel pane, ma che era di sua natura calido. In Egitto i semi del sesamo servono a preparare una pasta biancastra, che si usa per mantenere la freschezza e la bellezza della pelle.
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dell'umido. Ve ne sono 5 varietà. L'orientale, cresce spontaneamente nei terreni secchi ed aridi dell'India, del Ceylan, del Malabar, e s'accomoda